andre costa (1851-1910)

la piccola storia di un borghese romagnolo. scopertosi anarchico negli anni giovanissimi, assieme ad altri come giovanni pascoli, e che in seguito capì che gli interessi veri dei deboli (non solo degli umili) si difendono meglio nell’organizzazione e nel pragmatismo, si ferma qui.

Questa ha voluto essere anche una testimonianza di come in questa regione quella che con supponenza si etichetta come "socialdemocrazia" abbia motivazioni e radici ben più profonde della semplice identificazione di classe. Riguarda un intero modo di vivere la vita e i rapporti sociali, con quel tanto anche di spacconeria, ma anche di istintiva capacità di analisi dei rapporti di forza e degli interessi in gioco. Ci saranno sempre "giacobini". I repubblicani del ravennate saranno sempre e comunque più simili a un loro antico progenitore (Pietro Nenni), che con un certo allora socialista Benito Mussolini rischiava la galera contro la guerra di Libia (1912), piuttosto che all’ultimo esemplare di una dinastia (i La Malfa) più avvezzi alla borhesia delle banche che a quella del fare quotidiano.

Certo che la Romagna ha avuto un’ottima scuola di sopravvivenza, lo stato vaticano e la sua borghesiuccia codina e con la faccina tutta per bene. Saranno comunque due entità non assimilabili fra loro, come una sana e fresca "arzdora" tanto autonoma e guerriera nell’amministrare la tribù familiare e diversamente guerriera nel privato più intimo non potrà confondersi con una sciapa e scipita beghina, postatrice di ceri e biascicatrice di giaculatorie.

Per quanto illustri siano i maschi, la società progredisce sul ritmo delle sue donne.

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